Novità sul caso della strage di Bologna avvenuta nel 1980: cosa è stato deciso per Paolo Bellini. Tutti i dettagli e il ruolo dell’uomo.
La Procura della Repubblica di Bologna si è pronunciata sulla figura di Paolo Bellini e su quanto accaduto nella strage del 2 agosto 1980. In quella circostanza una bomba esplose nella stazione provocando 85 morti e circa 200 feriti.
La magistratura si è espressa sull’uomo accusato di aver partecipato all’attentato degli anni Ottanta nel capoluogo emiliano. Sulla sua figura sono emersi ormai da tempo diversi sospetti, soprattutto vista la militanza.
Paolo Bellini è stato condannato all’ergastolo dalla Corte di Assise di Bologna per la bomba che uccise 85 persone: disposto anche un anno di isolamento diurno. Il 68enne è indicato come il quinto attentatore dei Nuclei armati rivoluzionari, condannati in via definitiva, che corrispondono a Luigi Ciavardini, Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Condanna in primo grado invece per Gilberto Cavallini. La notizia è stata confermata dall’ANSA.
La Procura di Bologna ritiene che Bellini abbia agito su richiesta dei mandanti Licio Gelli (capo P2), Federico Umberto D’Amato, Umberto Ortolani e Mario Tedeschi ormai deceduti e quindi non processabili. Alla lettura della sentenza Bellini non era in aula. Condannato a sei anni l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel per depistaggio, quattro anni per false informazioni all’ex amministratore condominiale Domenico Catracchia. A riportare gli altri dettagli è stato il quotidiano la Repubblica.
Bellini esordì ad inizio anni Settanta quando fu identificato dopo un attentato alla sede del Movimento socialista italiano di Reggio Emilia. In quella circostanza il tentativo fu quello di incolpare i comunisti.
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Secondo quanto riportato da la Repubblica, lo stesso Paolo Bellini si recò in Portogallo per avviare dei contatti diretti e proficui con la destra di quel tempo, dopo qualche anno tentò di uccidere una persona vicino a sua sorella. Bellini riuscì a fuggire, grazie alla complicità degli amici, giungendo in Brasile. L’uomo visse da latitante fino al 1981 con il nome di Roberto Da Silva, a seguire l’arresto in Toscana mentre guidava un camion pieno di mobili rubati. Dopo un anno le impronte digitali rilevarono la sua vera identità.
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