Emergono nuovi particolari dalla riapertura delle indagini sul delitto di Via Poma. Nel 1990 veniva uccisa con 29 coltellate la giovane Simonetta Cesaroni. Oggi negli atti del cold case spunta una inquietante intercettazione del 2003. Potrebbe aprire nuovi scenari giudiziari.
Era il 7 agosto 1990 quando a Roma in un appartamento di via Poma, quartiere Prati, venne ritrovato il cadavere della giovane Simonetta Cesaroni, uccisa con 29 coltellate. E’ stato per anni uno dei casi giudiziari senza risposte nè un colpevole certo. Adesso nel 2022 c’è un nuovo impulso per gli investigatori e i magistrati romani che hanno riaperto il caso: nelle carte nuovi elementi per cambiare lo scenario.
Al momento sarebbe una suggestione, ma c’è una intercettazione del 2003, quando erano già passati 13 anni dall’omicidio della Cesaroni, che torna prepotentemente attuale, nell’ambito della riapertura dell’indagine. Nata dopo un’esposto presentato nelle scorse settimane dai familiari di Simonetta Cesaroni su segnalazione dell’ex funzionario della squadra mobile, Antonio Del Greco.
L’obiettivo è quello di indagare nuovamente a 360 gradi, senza escludere nessun elemento, ricominciando praticamente le indagini da capo. “Sono convinto che tanto prima o poi finiscono con incastrà l’avvocato Caracciolo“. È la prima frase della conversazione intercettata, pronunciata con uno spiccato accento romano. A parlare sarebbe il cosiddetto “Professore” che racconta del delitto di Simonetta, e dell’allora presidente regionale degli Ostelli, Francesco Caracciolo di Sarno.
Via Poma, nuove indagini sulla morte di Simonetta Cesaroni: di chi si parlava nell’intercettazione?
Ma chi è colui che pronuncia queste frasi al telefono? Si tratta dell’uomo che nell’estate del 1990 aveva fatto da tutor a Simonetta Cesaroni nell’ufficio di via Poma, mentre inseriva i dati della contabilità nel computer.
Siamo nel 2003 e in quel periodo i magistrati avevano nuovamente ricominciato da capo le indagini, in quella conversazione, anche il tutor della ragazza risultava preoccupato. Sopratutto in virtù degli interrogatori a cui era stato sottoposto: “Sto a diventa’ fifone… A ristamo da capo a dodici professò” dice l’uomo al suo interlocutore.
L’impiegato parla poi del fatto che anche sua moglie era stata interrogata: “Io quasi due ore e quaranta… lei uguale ” spiega. Dall’altra parte viene chiesto, “E da sua moglie che volevano sapé… ? “. La risposta è evasiva: “E volevano sapere alcuni indizi e poi so’ cose che preferisco dirgli a voce e non per telefono“. La telefonata si chiude in questo modo. Dimostra come all’epoca dei fatti ci fosse molta tensione sul dover tirare fuori ricordi dell’episodio avvenuto 13 anni prima.
Via Poma, indagini serrate sulla morte di Simonetta Cesaroni: qualcosa non torna
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Paradossalmente, questa intercettazione, ingarbuglia è nuovamente agli atti. Come viene riportato da Repubblica “Per Caracciolo se si mettono in fila tutte le dichiarazioni rilasciate, per esempio, dai dipendenti dell’ufficio, dai datori di lavoro di Simonetta fino ai soliti portieri, qualcosa cambia sempre, o non torna, rispetto alle parole precedenti. Per non parlare degli orari dove le lancette si spostano velocemente di mezz’ora ogni nuovo interrogatorio“. Sarò la volta buona? Difficile dirlo, di sicuro è l’ennesima volta di uno dei “cold case” più cruenti mai avvenuti nel nostro Paese.