Quando nella primavera del 2020 a Bergamo arrivano i medici russi, cercano di prelevare i tamponi per analizzare il Covid. In quel periodo in Russia il virus non era ancora arrivato e la task force “Dalla Russia con amore” aveva, in realtà, un obiettivo di intelligence batteriologica.
Durante l’aprile del 2020, quando la provincia di Bergamo era l’epicentro del Covid, i russi volevano i campioni del virus. A raccontarlo sulle pagine de La Repubblica è il direttore di una Rsa che ha confermato i sospetti. La task force inviata da Mosca per aiutare l’Italia, tra le altre cose raccoglieva informazioni sul virus.
Il capo di una residenza per anziani a pochi km da Bergamo, ha raccontato che i militari avevano cercato di prelevare i tamponi per analizzarli nel loro laboratorio mobile. Il direttore, insospettito, aveva chiesto un parere a un colonnello dell’Esercito italiano, il quale aveva confermato che no, non era un buona idea. Il sospetto è che i russi volessero analizzare il virus per raccogliere informazioni e studiarne le potenzialità. Informazioni che, poi, sono state usate per la realizzazione del vaccino Sputnik.
In quel mese di aprile, i russi avevano chiesto a diverse Rsa di analizzare i tamponi. Lo ha raccontato il direttore a La Repubblica. “In quel momento i tamponi non si trovavano, li stavamo cercando come l’oro”, ha raccontato il direttore del centro. “Loro ci avevano offerto di fornire dei tamponi che poi avrebbero processato in autonomia nel laboratorio mobile”.
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In quel caso, la richiesta dei russi era stata negata. Il permesso valeva solo per le operazioni di sanificazione della struttura. D’altronde, la task force “Dalla Russia con amore”, era in Italia per aiutare in un momento difficile.
In realtà gli obiettivi d’intelligence batteriologica era ben altri. Isolare il virus, studiarlo, analizzarne le potenzialità e conservarlo nei laboratori. Dopo la segnalazione, l’Esercito italiano ha informato tutte le Rsa del territorio invitandole a non accettare l’offerta russa. Ma nessuno sa, a questo punto, se in un modo o nell’altro, la task force aveva già ottenuto almeno qualche tampone.
Già lo scorso anno, La Repubblica aveva raccontato di come il laboratorio mobile russo, era un “cavallo di troia”. Era usato, secondo l’inchiesta, per le attività di spionaggio batteriologico. Il camion, parcheggiato davanti un hotel di Bergamo, aveva la connessione satellitare e inviata dati attraverso canali criptati.