Roberto Marcuccio è un imprenditore italiano che da quattro anni vive con la moglie e il figlio a Mikolaev, nel sud dell’Ucraina, vicino Odessa. Quando la guerra è arrivata alle porte di casa sua, si è rifugiato con la famiglia in casa ma la città è presto entrata nel mirino dei bombardamenti russi. E le bombe hanno cominciato a cadere tutte intorno al suo palazzo. E allora è scappato. Roberto ha raccontato a Free.it è il suo viaggio dall’Ucraina in guerra all’Italia.
Dopo che le bombe russe hanno iniziato a colpire anche Mykolaïv, cittadina a pochi passa dalla Crimea, Roberto, sua moglie e suo figlio sono dovuto scappare. Con la paura di essere colpiti, di essere fermati, di essere sparati, il tragitto è stato lungo e difficile. A Free.it Roberto Marcucci ha raccontato dall’inizio alla fine che cosa è successo e com’è andato il viaggio.
Qual era la situazione?
“Prima di tutto devo raccontare questo dettaglio importante. La mia macchina aveva delle problematiche di tipo burocratico e non poteva lasciare il territorio ucraino, a meno che non pagassi una multa. Sapendo del problema e diventando la situazione sempre più difficile, avevo chiamato sia il Consolato sia l’ambasciata per avere rassicurazione. L’Ucraina aveva detto che qualunque mezzo poteva lasciare il Paese in guerra e anche i funzionari italiani mi avevano confermato che non ci sarebbero stati problemi”.
Ok…
“Dopo di che, l’escalation a Mykolaïv è stata velocissima. Hanno iniziato a bombardare dappertutto, i parchi, i palazzi alla periferia della città. C’erano carrarmati ovunque. Sparavano cannonate sulle case e noi eravamo terrorizzati, ma chiusi dentro. Al quindicesimo giorno, una bomba ci è caduta davanti la finestra e allora ci siamo fatti coraggio. Abbiamo preso l’indispensabile, abbiamo chiamato una guida per chiedere come arrivar alla dogana per arrivare in Moldavia”.
Cos’è successo dopo?
“Ci siamo ritrovati al punto d’incontro e siamo partiti. Il problema è che Mykolaïv è circondata dal fiume, ci sono due ponti giganteschi che si aprono e si chiudono. Di notte, per evitare che entrassero i russi, erano alzati, quindi siamo rimasti due ore fermi in attesa di passare l’altra parte del fiume. Dall’altro lato si vedevano le case che fumavano, lampi nel cielo, bombardamenti terribili. Le case che prendevano fuoco e noi avevamo il terrore che un mortaio ci cadesse sulla macchina. Poi finalmente hanno aperto il ponte e ci hanno lasciato uscire”.
La situazione era tranquilla, per quanto possibile?
“Abbastanza. Nel frattempo i bombardamenti erano cessati e ci hanno dato il via libera ma c’era ancora pericolo. Perché c’erano i cecchini che sparavano ai civili nelle auto che cercavano di uscire. Un’amica di mia moglie era in auto con marito e figlia. E’ rimasta viva solo la bambina. Fuori città, ogni 2 km c’era uno un check point per il controllo dei passaporti, controllavano che non ci fossero russi a bordo”.
Ucraina, Roberto italiano a Mykolaïv. La fuga, “Volevamo 18mila euro, l’Ambasciata non ci ha aiutato”
“Alla fine siamo arrivati alla dogana ma lì hanno fermato la macchina per i problemi burocratici. Volevano 18mila euro per lasciarla passare altrimenti la sequestravano. A quel punto, ho chiamato al Consolato e loro mi hanno risposto: eh, paghi la multa. Ma io non ce li ho 18mila €.
Poi ho telefonato all’Ambasciata italiana a Leopoli e hanno detto che cercavano di fare qualcosa. Abbiamo aspettato fino alle 3. Ho richiamato per sapere se stavano facendo qualcosa e mi ha risposto una ragazza assonnata e scocciata”.
E allora cosa avete fatto?
“Allora siamo ritornati a Odessa, abbiamo chiamato la guida che avevo contattato all’inizio. Ci ha accompagnato di nuovo alla dogana e lui è tornato indietro con la mia macchina. Noi abbiamo attraversato il confine con la Moldavia a piedi. Una volta fuori dall’Ucraina, anche grazie all’aiuto di una giornalista italiana, siamo riusciti a prendere un passaggio di un convoglio umanitario. E siamo finalmente arrivati a Chisinau, dove siamo stati accolti dalla fondazione dei salesiani Don Bosco”.
Vi hanno accolto bene?
“Ci hanno trattato da Dio, ci siamo ripresi dall’incubo e poi dopo 3-4 giorni abbiamo cercato un modo per arrivare in Italia. In realtà non c’era nessun mezzo gratuito, sebbene ci avessero detto che mettevano questo servizio gratuito per i profughi. Niente. Alla fine abbiamo pagato 750 € per tornare in Italia dalla Moldavia. A Budapest si è anche rotto il pullmino e abbiamo dovuto aspettare parecchie ore”.
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Quanto è durato il vostro viaggio?
“In totale, la nostra fuga dalla guerra è durata sei giorni. Ma voglio sottolineare che Ambasciata e Consolato non hanno fatto nulla per aiutarci. Adesso a Mykolaïv ci sono tre italiani che non vogliono lasciare la città, sono al riparo nei rifugi. Io sono in Italia ma devo ricominciare da zero”.