Interrogato per oltre sei ore il 62enne Luigi Oste, arrestato con l’accusa di aver ucciso la notte di Halloween il dipendente della Croce Rossa Massimo Melis. L’uomo si è dichiarato innocente ed estraneo ai fatti.
“Non sono stato io. Con quell’omicidio non ho nulla a che fare“. Si è difeso fin da subito Luigi Oste, il 62enne arrestato con l’accusa di aver ucciso Massimo Melis, un dipendente della Croce Rossa. Oste insieme al suo avvocato Salvo Lo Greco ha risposto per oltre sei ore alle domande del pubblico ministero Chiara Canepa. Per lui la ricostruzione della Procura è totalmente falsa.
Secondo questa, Oste avrebbe ucciso Melis, perché suo rivale in amore. Al centro di questa vicenda una donna, Patrizia, di cui si era innamorato. “Pensavo fosse una grande storia d’amore – ha raccontato – Poi lei è cambiata. Quando ha saputo che ero stato in carcere, ha cominciato a evitarmi e ha chiuso i rapporti. Ma non avevo alcun motivo per uccidere Melis. Lo conoscevo ma non abbiamo mai parlato di Patrizia“.
L’omicidio di Melis è avvenuto la sera del 31 ottobre 2021, dopo che l’uomo aveva riaccompagnato a casa la sua amica Patrizia, per poi tornare a riprendere la sua auto in via Gottardo. Non appena salito a bordo, era stato freddato dal killer. A trovare il corpo proprio la donna. Per il pm Canepa non ci sarebbero dubbi sul fatto che a compiere il delitto sia stato Oste, per eliminare quello che pensava potesse rovinare la sua storia d’amore.
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Con Patrizia, Oste aveva avuto un breve flirt estivo. Entrambi lavoravano in bar poco distanti l’uno dall’altro, e l’uomo si era illuso che quell’amicizia potesse trasformarsi qualcosa di più profondo. Ma così non è stato, tanto che a settembre la donna lo aveva lasciato. Questo aveva fatto scattare nell’uomo un comportamento ossessivo. Passati al setaccio tutti i messaggi che ha inviato alla donna sempre più insistentemente.
“Quando vedo che vai via con lui, mi viene un dolore allo stomaco” oppure, “Tu non ti rendi conto del male che mi stai facendo. Quanto mi stai facendo soffrire ogni giorno. La mia testa è sempre per te, sto impazzendo“. L’imputato avrebbe ammesso di aver scritto frequentemente alla donna, ma non di averla perseguitata. “Io le scrivevo, lei non rispondeva. Poi ho smesso“. In realtà molti testimoni hanno raccontato di averlo visto tornare al bar armato, la notte dell’omicidio.
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Nei giorni successivi inoltre hanno anche raccontato di averlo sentito commentare l’accaduto: “Finalmente posso dormire“. Alla domanda del magistrato sul possesso dell’arma Oste ha risposto: “Avevo una scacciacani, ma senza munizioni. La tenevo al bar“, ribadendo poi la sua innocenza: “Non sono stato io“.
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