Per il Tribunale di Ancona il colosso della meccanica ha tenuto un comportamento antisindacale, non comunicando per tempo l’intenzione di delocalizzare la produzione e chiudere lo stabilimento di Jesi. A rischio 270 posti di lavoro. Per ora, però, c’è stato uno stop ai licenziamenti per 15 giorni. Ecco perchè.
Caterpillar ha violato l’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori e tenuto un comportamento antisindacale. E lo ha fatto non annunciando tempestivamente l’intenzione di chiudere lo stabilimento di Jesi, in provincia di Ancona. Un comportamento sufficiente da parte del colosso della meccanica per essere condannata dal Tribunale di Ancona. Ma non per bloccare i licenziamenti di tutti gli operai.
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Proprio a Jesi nascono gli inconfondibili escavatori gialli, che si trovano in tutti i cantieri. Ma nonostante la popolarità dell’azienda americano, Caterpillar ha deciso di eliminare la produzione in Italia.
L’annuncio della chiusura dell’impianto marchigiano, Caterpillar l’ha data a sorpresa il 10 dicembre dicembre scorso. In provincia di Ancona, come scrive il giudice, lavorano “189 lavoratori dipendenti e circa altri 70 lavoratori somministrati”. Per loro l’azienda aveva pensato ad un licenziamento collettivo. Il tutto, però, “senza che nessuna informazione preventiva fosse stata data durante gli incontri mensili e semestrali svoltisi nel corso dell’anno 2021”. In azienda “al contrario, erano state prospettate possibilità di crescita con assunzione anche di una quota dei lavoratori interinali”.
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La Fiom Cgil ha presentato, tramite gli avvocati Franco Focareta e Alessandro Giuliani, un ricorso d’urgenza nel tentativo di scongiurare i licenziamenti. Ricorso che è stato ritenuto “parzialmente fondato” dal giudice.
In particolare, Caterpillar non ha “tempestivamente adempiuto agli obblighi di informazione preventiva previsti dal contratto collettivo nazionale di settore e dall’accordo integrativo aziendale del 5 luglio 2018 con riferimento alla decisione di cessazione dell’attività produttiva del sito di Jesi e di avvio della procedura di licenziamento collettivo del personale dipendente”. E per questo il giudice ha condannato l’azienda a risarcire la Fiom con 50mila euro.
Il giudice, però, non ha congelato i licenziamenti. Da quanto si legge nella sentenza, infatti,“non può ritenersi vi sia stata una procedimentalizzazione delle operazioni di licenziamento collettivo ulteriore e diversa rispetto a quanto previsto dalla legge, sicché, pur sussistendo la violazione dell’obbligo informativo, questo non potrà avere alcun effetto sulla validità della procedura”.
Per 15 giorni, almeno, tutto resterà fermo. La notizia è arrivata nelle scorse ore, dopo un’incontro al Mise tra azienda e sindacati. Il colosso americano, infatti, ha “comunicato che è stata valutata come interessante la proposta della IMR che ha intenzione di assumere tutti i 189 lavoratori. La IMR ha 2600 dipendenti, di cui 1500 Italia, ed è un’azienda che è già intervenuta in altre operazioni di reindustrializzazione”, ha fatto sapere la Fiom. Nel frattempo, mentre questa possibile soluzione verrà vagliata, i posti di lavoro rimarranno intatti per almeno 2 settimane, come ha chiesto la Fiom.
I lavoratori e il sindacato sono di nuovo pronti a dare battaglia. la sentenza del Tribunale di ancona “pur accertando la condotta antisindacale della Caterpillar in violazione dell’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori, non revoca tuttavia la procedura di licenziamento collettivo. Pertanto, ci riserviamo di presentare nei tempi previsti opposizione alla sentenza”, fanno sapere in una nota congiunta Mirco Rota della Fiom-Cgil nazionale e Tiziano Beldomenico, segretario generale Fiom-Cgil Marche.
“Riteniamo sia una prima vittoria per le lavoratrici e i lavoratori, che in questi mesi hanno messo in campo una resistenza straordinaria – aggiungono – . Ringraziamo per l’ottimo lavoro il collegio legale della Fiom. Ora occorre dare seguito agli impegni presi per una soluzione industriale che garantisca la ripresa produttiva e la continuità occupazionale nello stabilimento di Jesi per tutti i lavoratori”.
Quella della Caterpillar non è l’unica crisi aziendale che vede colossi internazionali intenzionati ad abbandonare l’Italia. E a lasciare a casa centinaia di lavoratori, spesso senza o con pochissimo preavviso.
Emblematico è stato il caso della Gnk di Campi Bisenzio, in provincia di Firenze. La multinazionale inglese attiva nel settore dell’automotive, guidata dal fondo Melrose Industries, voleva chiudere lo stabilimento toscano, acquistato nel 1994 dalla Fiat. L’annuncio a sorpresa era stato dato nel luglio dello scorso anno.
L’iniziativa dei vertici della Gkn aveva fatto scuola. Sono state tante le aziende che hanno annunciato di voler chiudere gli stabilimenti italiani, tanto da indurre il governo Draghi a studiare un decreto contro le delocalizzazioni. Misura che alla fine non ha visto la luce.
Numerose le azioni di solidarietà nei confronti dei 422 lavoratori della Gkn da parte di personaggi del mondo dello spettacolo: Piero Pelù, Vasco Rossi, Gianni Morandi, Paolo Virzì, Claudio Verdone e tanti altri.
Tra loro il fumettista Zerocalcare che ha disegnato i volantini per le manifestazioni del Collettivo dei lavoratori. La Fiom, rappresntata dall’avvocato Focareta, è ricorsa al Tribunale del Lavoro di Firenze ed è riuscita a scongiurare i licenziamenti. Lo stabilimento, infine, è stato rilevato dal gruppo Borgomeo nel dicembre scorso e i posti di lavoro sono stati salvati.
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