Fuggito da Aleppo, Anas si era rifugiato in Turchia dove aveva fondato una piccola Ong per aiutare 400 bambini orfani. Espulso illegalmente dal Paese, ha deciso di tornare. “Chiedo un visto per continuare al sicuro il mio lavoro umanitario”.
L’odissea per Anas al-Mustafa è iniziata come un semplice controllo dei documenti. Fin da subito però al 41enne siriano – rifugiato a Konya in Turchia dal 2016 per sfuggire al regime di Assad e alle forze jihadiste – è parso chiaro che qualcosa non andava.
Dai controlli all’arresto per Anas il passo è stato breve. E quando chiedeva spiegazioni la risposta degli agenti di polizia turchi che lo hanno tenuto in custodia per una settimana era sempre la stessa. “Non ti preoccupare Anas: troveremo il crimine più adatto a te”. Se poi chiedeva di vedere un avvocato, la replica era ancora più perentoria. “Tu – gli dicevano i militari – hai solo il diritto di firmare questo documento”. Ossia il foglio di espulsione che gli sventolavano davanti agli occhi.
La storia di Anas e dei ‘suoi’ bambini
Il dramma per Anas è iniziato il 15 maggio del 2020, con una “visita” della polizia turca a casa sua. Con il pretesto di chiedergli spiegazioni sulla richiesta di cittadinanza turca, gli agenti lo hanno costretto a seguirli in commissariato a Konya.
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Dopo una serie di domande, gli sono stati tolti i documenti, il telefono e gli oggetti personali. Poi è stato rinchiuso in cella insieme ad altri profughi siriani. Nessuna spiegazione. nessuna possibilità di contattare il suo avvocato o i bambini e le famiglie di cui si occupava. Nulla.
L’espulsione di Anas Turchia e il lager in Siria
Solo dopo una settimana, il 22 maggio alle 5 della mattina, Anas è portato con altri 5 rifugiati al confine con la Siria. Sono stati tutti espulsi dalla Turchia, lasciati “come sacchi della spazzatura” nella provincia siriana di Idlib. Ogni tentativo per evitare le milizie jihadiste è stato vano. Anas e i suoi compagni presto sono finiti in un centro di raccolta per i profughi, da cui dopo un’altra settimana di sofferenze è riuscito a scappare.
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I rischi per Anas, però, erano enormi. Non era più un “cittadino” per le milizie jihadiste che controllavano la provincia di Idlib. Se fosse tornato nella parte del Paese controllata da Assad rischiava una condanna per diserzione. E in Turchia non godeva più dello status di rifugiato. Un limbo pericoloso, perché Anas nel periodo trascorso in Turchia da profugo era diventato operatore umanitario e aveva dato vita alla Ong “A friend indeed“. Proprio la sua attività, i suoi contatti e le tante relazioni coltivate con organizzazioni umanitarie straniere avevano fatto di lui il punto di riferimento per 175 famiglie e 400 orfani siriani, rifugiati a Konya.
In Siria se le milizie lo avessero rapito, avrebbero potuto chiedere un riscatto. In Turchia, invece, attorno a lui c’era terra bruciata. La sua attività di raccolta fondi e aiuti per i profughi, anche attraverso il microcredito, donazioni e pacchi alimentari, aveva attirato l’attenzione della polizia. Ed era stata decisiva per la sua espulsione.
Il ritorno in Turchia da “sans papier”
Dopo qualche tempo, che ha trascorso nascosto in casa a Idlib, alla fine del 2020 Anas ha deciso di tornare in Turchia. Ed è diventato “due volte profugo” fatto per poter continuare a sostenere i 400 orfani di Konya e proseguire le attività della sua Ong.
Questa volta, però, al suo fianco c’era un team di legali che lo stanno assistendo e hanno portato il suo delicato caso di “sans papier” davanti alle Nazioni Unite. A farne parte sono l’avvocato Chiara Modica Donà delle Rose, esperta di diritto internazionale, e il collega turco Bastimar Kurtulus.
Grazie a loro, il suo decreto di espulsione è sospeso, anche se non c’è ancora una pronuncia ufficiale da parte dell’autorità giudiziaria. Anas nel frattempo chiede un visto per poter raggiungere l’Europa, dove poter vivere in sicurezza, proseguendo ed ampliare il suo lavoro umanitario. E aspetta, ormai da oltre un anno, una risposta dall’Onu. Risposta che, si spera, possa arrivare presto.