L’ex Procuratore aggiunto del Tribunale di Palermo, Antonio Ingroia, ha parlato oggi di Paolo Borsellino nel corso di una sua testimonianza al processo sui depistaggi in seguito alla morte del giudice antimafia. I dettagli.
Paolo Borsellino temeva per la propria vita negli ultimi mesi di lavoro alla Procura di Palermo. A pesare erano l’omicidio di Giovanni Falcone, ma anche la situazione generale negli uffici del Tribunale palermitano. “Non si fidava di molti pm e teneva la porta sempre chiusa“, ha dichiarato oggi in merito Antonio Ingroia. Un comportamento differente da quello solito da parte di Borsellino, “che sorrideva sempre e nel cui ufficio c’era sempre un gran viavai di colleghi“.
Le parole di Ingroia sono state rilasciate oggi dall’ex Procuratore aggiunto di Palermo, nell’ambito della sua testimonianza nel processo sui depistaggi delle indagini relativi alla strage di Via D’Amelio del 19 luglio 1992. Nell’ambito della quale il giudice antimafia perse la vita insieme ai cinque uomini della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina.
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L’ex procuratore aggiunto di Palermo, già pupillo dello stesso Borsellino, ha risposto alle domande del Pm Maurizio Bonaccorso. Gli imputati sono tre membri delle forze dell’ordine, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo: l’accusa nei loro confronti è di avere spinto l’ex pentito Vincenzo Scarantino a dichiarare falsità, accusando persone invece innocenti. Borsellino pensava che nel 1992 la Procura “fosse controllata al 90% dall’allora Procuratore, Giammanco“, ha spiegato inoltre Ingroia.
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Ingroia vide Borsellino per l’ultima volta “il 15 luglio del 1992. Gli dissi che stavo per prendermi qualche giorno di ferie, ma lui non la prese bene. Io lo andai a salutare ma lui rimase con la testa china, mi salutò freddamente“, ha raccontato Ingroia nel corso della sua deposizione. Borsellino aveva chiesto a Ingroia di affiancarlo nella gestione di due pentiti, Gaspare Mutolo e Leonardo Messina. Proprio Mutolo aveva avvisato Borsellino, racconta l’ex procuratore aggiunto, “di guardarsi le spalle dalle complicità tra Stato e Cosa Nostra“, facendo poi il nome di Bruno Contrada. Ex ufficiale dei servizi segreti, Contrada è stato arrestato nel 1992 e poi condannato nel 2007 per collaborazione esterna in associazione mafiosa.
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