Dopo che la Yazaki di Torino li ha licenziati in tronco via Teams, i tre lavoratori della multinazionale stanno cercando di capire come riottenere il lavoro. In ESCLUSIVA al quotidiano online, Free.it , le storie di Alessandra Celidoni, Maurizio Falco e Francesco Marino.
Sono ore di angoscia per i tre lavoratori della Yazaki di Torino, la multinazionale esperta di cablaggi elettrici nel settore automotive che li ha licenziato via Teams. Nel giro di trenta minuti si sono ritrovati fuori dall’azienda, senza poter più accedere nemmeno al loro desktop. Lavoravano per la Tazaki rispettivamente da 18, 28 e 11 anni e ora si trovano al punto di partenza con figli e famiglie. In ESCLUSIVA al quotidiano online Free.it le storie di Alessandra Celidoni, Maurizio Falco e Francesco Marino.
Come state vivendo questi giorni?
Maurizio Folco – “Dopo 28 anni di lavoro in un’azienda, ti trovi dall’oggi al domani disoccupato. C’è lo shock iniziale… Poi per combinazione sono anche in una situazione particolare, perché mio padre è stato trovato positivo al covid e sono in quarantena. Quindi non ho neanche potuto farmi una camminata in mezzo ai boschi per distrarmi un po’, è una situazione veramente complicata. Ma temo che dovremo farcene una ragione, ci dovremo rimetteremo sul mercato. Perché l’azienda non ha nessuna intenzione di reintegrarci, da quanto abbiamo capito”.
Alessandra Celidoni – “Siamo molto arrabbiati in questo momento, perché stamattina abbiamo visto un articolo che è uscito oggi su La Stampa rilasciata dall’amministratore delegato. Il quale diceva che usare la piattaforma Teams era un modo gentile per licenziare le persone. E no, non è per niente così. Noi stiamo chiedendo ormai da giorni di essere reintegrati e di riavere i nostri posti di lavoro, visto che comunque la possibilità di allocarsi c’è. Questa richiesta non è stata presa minimamente in considerazione da parte dell’azienda. Sul quotidiano, infatti, dice di essere disponibile a incontrare i sindacati, ma semplicemente per spiegare le motivazioni di questa scelta. Se l’azienda incontrerà i sindacati e ribadirà di non voler cambiare idea sul nostro licenziamento, aspettiamo che ci convochi l’ispettorato del lavoro di Torino come da articolo 18 la legge Fornero. E vediamo poi in quella sede, questa azienda che cosa ha intenzione di proporci”.
Francesco Marino – “Sto cercando di riprendermi, perché lo shock è stato decisamente forte anche perché totalmente inaspettato. Quel venerdì maledetto, mezz’ora prima che fossi chiamato dall’azienda per essere licenziato, stavo facendo una call conference. Ero, sempre su Teams, con dei colleghi per discutere di alcuni prototipi da far arrivare al centro ricerce Fiat di Orbassano. Dove stavamo facendo delle prove importanti sulla sulle vetture di alto voltaggio. E dopo mezz’ora mi sono ritrovato buttato fuori dall’azienda. Totalmente inaspettato”.
Non avevate proprio cioè sentore di questo licenziamento?
Alessandra Celidoni – “Guardi, io le dico questo: io ero RSU in azienda per la Cisl insieme a un collega della Cgil ed ero anche la rappresentante della yazaki Italia al comitato aziendale europeo. Quindi, di possibilità di parlare con questa azienda ne abbiamo avute molte, ma di risposte ne abbiamo sempre avute molto poche. Prima di quest’estate abbiamo aperto uno stato di agitazione proprio perché non riuscivamo ad avere delle risposte. E al 10 di settembre abbiamo fatto un incontro l’unione industriale in presenza dei nostri territoriali noi e la direzione.
In quell’occasione ci era stato detto che non c’era nessun tipo di previsione di ristrutturare o di delocalizzare. Nessuna avvisaglia di chiusure di uffici. Ci è era stato detto di non dar retta ai rumors e di non farci dei film mentali. Tant’è vero che, di fronte a questa rassicurazioni, corredate tra l’altro da una bellissima presentazione PowerPoint con numeri in positivo, abbiamo chiuso lo stato di agitazione. E poi il 3 dicembre mi dici che chiudi un ufficio? Cioè, capisce che c’è qualcosa che non quadra. No, nessun preavviso”.
Vi hanno confermato che il licenziato è legato alla soppressione dell’ufficio?
Alessandra Celidoni – “Dicono così, non posso darle una risposta differente. Loro sostengono che sia così ma non ne ho certezza”.
Maurizio Folco – “L’azienda ci ha detto che ha accorpato il nostro ufficio coasting alla sede del Portogallo, dove c’è il centro tecnico che segue tutte le filiali in Europa. Hanno pensato bene di disfarsi di noi e del team anche se qui avevamo rapporti diretti con il cliente FCA che vanno avanti da 30 anni. Praticamente, adesso anche loro dall’oggi al domani si troveranno senza un punto di riferimento qui in Italia. E quindi non so come verrà riorganizzato il lavoro. Io cercherò qualcos’altro, sempre a livello tecnico commerciale. Anche se io in 28 anni ho fatto di tutto, dalla logistica alla qualità, dall’ufficio acquisti al tecnico commerciale. Mi sarei adattato facilmente se l’azienda avesse voluto ricollocarmi”.
Francesco Marino – “Sì, dicono che è assorbito dalla sede del Portogallo, ma la mia intenzione è quello di rientrare. Primo, in questo periodo in giro non è che ci sia tanto lavoro e non ci sono molte possibilità. Io ho 51 anni, ho trent’anni di esperienza nel settore automotive. Ma la cosa che più mi ha fatto male è che per tutti noi tre, l’esperienza non è stata minimamente considerata dall’azienda. Per altro io ho solo avuto la sfortuna di trovarmi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Praticamente a gennaio di quest’anno io ero all’interno dell’azienda in un altro ente del programma management. Quando un collega è andato in pensione nell’ufficio coasting, mi hanno chiesto di sostituirlo, perché dicevamo che era diventata una posizione strategica per l’azienda. Dopo meno di un anno la chiudi. E io se mi fossi trovato nella vecchia posizione non sarei stato licenziato”.
Cosa chiedete ora?
Alessandra Celidoni – “Io lavoro alla Yazaki da 18 anni, non sono una ragazzina che non sa e non capisce che le multinazionali possono procedere a licenziamenti. Possono delocalizzare dove c’è meno pressione fiscale o dove il costo del lavoro è minore. Va bene ma in quel caso si convocano le figure sindacali all’interno di un’azienda si apre un tavolo di confronto. L’azienda dice: io ho bisogno di far fuori 10 figure, ok come possiamo procedere?
Cioè?
Alessandra Celidoni – “Allora si cerca di capire se c’è qualcuno, per esempio, interessato ad andare in un pre-pensionamento, se c’è qualcuno interessato a prendere una buonuscita, degli incentivi. Si può aprire una finestra di mobilità, ci sono degli strumenti che possono permettere all’azienda di muoversi avendo comunque rispetto della dignità dei lavoratori. Possibile che una multinazionale che si fregia di essere un colosso dell’automotive dei cablaggi non potresti trovare una riallocazione, anche solo temporanea, mi faccia dire. Perché se mi avessero detto: Alessandro l’ufficio sarà chiuso, ti mettiamo in reception, io capisco. Ok, mi stanno parcheggiando lì, mi comincio a guardarmi intorno, ma con un certo tipo di serenità d’animo”.
Francesco Marino – “Io adesso aspetto la convocazione da parte dell’ispettorato del lavoro di Caserta, perché io a differenza dei colleghi sono nella parla nella sede di Pastorano, in Campania. Sono loro che mi devono contattare. Intanto ho già contattato un avvocato e vediamo un attimino l’azienda cosa propone, cosa vuol fare”.
Maurizio Folco – “Sì, aspettiamo l’ispettorato del lavoro e spingeremo per avere il reintegro. Pensi che sono lì da 28 anni e, praticamente, quando sono arrivato eravamo in 16. Eravamo un piccolo magazzino di Rivoli. Poi man mano ci siamo ingranditi, ci siamo trasferiti a Grugliasco e ci siamo ingranditi ulteriormente con l’assorbimento di un’altra azienda del settore che era fallita. Allora da 16 siamo arrivati a 120-130 lavoratori. Negli ultimi anni molti sono andati via e nessuno è stato reinserito e quindi l’organico è calato alla novantina che c’è adesso. Meno tre”.
I colleghi sono stati solidali?
“La maggior parte sì, altri no perché hanno pensato che avendo fatto fuori noi loro sono salvi. Ma domani? E’ un precedente, quando certe macchine si mettono in moto, fermarle è molto difficile. Per di più non è la prima volta che l’azienda fa le cose alla chetichella, senza avvisare nessuno. Quattro anni fa, senza aprire bocca con nessuno, hanno deciso di vendere un ramo dell’azienda e ce ne siamo accorti solo perché abbiamo visto che il capannone era stato messo in affitto. E allora era scoppiato il casino. Quindi…oggi noi, domani può capitare a qualcun altro”.
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