Sono 22 mesi che Patrick Zaki è rinchiuso in un carcere egiziano con l’accusa di terrorismo e di informazione fasulla contro il Paese. Quasi due anni in cui lo studente egiziano dell’università di Bologna, non ha avuto un processo. E domani, a Mansura ci sarà la terza udienza del processo a suo carico. Il giudice potrà decidere di rinviare ancora, condannare o assolvere Patrick. Al quotidiano online Free.it Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.
La sua detenzione è stata prorogata di 45 giorni in 45 giorni, come un ergastolo somministrato un po’ alla volta. Per Patrick Zaki sono ormai 22 i mesi in cui è rinchiuso in un carcere egiziano. Per lui l’accusa è propaganda sovversiva e informazione contro lo stato egiziano. Il caso di Patrick, soprattutto dopo la morte di Giulio Regeni, è monitorato dalle principali associazioni per i diritti umani del mondo. Al quotidiano online Free.it Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.
Che cosa potrebbe succedere domani?
“Se fossimo al totocalcio sarebbe da tripla. Come sempre, a ogni vigilia di udienza per Patrick, ci sono segnali positivi. C’è stata la grazia che ha ottenuto il presidente della dell’associazione con cui Patrick faceva ricerca. Però poi, la realtà è che tutti i processi in un tribunale di emergenza stanno più o meno andando verso la fine. E su questi 140 processi che ci sono stati in questi anni, in quel tipo di tribunale, non si contano molte assoluzioni”.
Cosa ha fatto finora il governo italiano?
“Ci hanno detto, utilizzando un ossimoro oppure o un neologismo, non lo so, che era in atto una sorta di silenzio operativo. Noi tendiamo a credergli, certo. Ma se dovessimo valutare il comportamento del governo italiano sulla base del sollecito che ha avuto due volte il Parlamento ad avviare le verifiche per la cittadinanza italiana Patrick, di diremo che siamo al punto zero”.
La pressione internazionale a un certo punto potrebbe sbloccare la situazione?
“E’ fondamentale, perché lo sappiamo bene. Sessanta anni di attività di Amnesty International senza stimolare quelli che hanno capacità di favorire comportamenti diversi da parte degli Stati, non avremmo ottenuto moltissimo. Su tutta la questione dei diritti umani in Egitto, per Patrick e per le altre migliaia di detenuti, occorre una pressione internazionale. Il problema è con chi farla. Perché e l’Unione europea, per quanto riguarda il nostro raggruppamento regionale, in questi anni è stata poco più che un luogo di competizione su chi vendeva più armi al Cairo. Quindi, se dobbiamo basarci sul passato, pressioni non ce ne sono state. Però noi continuiamo a sostenere che questo tema di diritti in Egitto è un tema di preoccupazione internazionale. E allora ci auguriamo che prima o poi questa pressione sia esercitata”.
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Teme che Zaki sarà condannato?
“C’è questa doppia sensazione: di sperare nel meglio temere il peggio, che è quella che ci accompagna da 22 mesi. E quindi all’ottimismo di chi si occupa di diritti umani e un po’ la preoccupazione basata sui precedenti del comportamento delle autorità giudiziarie”.
Se Patrick domani sarà condannato, come dovranno cambiare i rapporti Italia-Egitto?
“Intanto, questo tipo di tribunale non prevede appello, quindi se dovesse essere condannato, la sentenza sarebbe definitiva. A quel punto resterebbe soltanto la possibilità di chiedere la grazia al presidente Al Sisi. E allora politicamente sotto la richiesta di grazia dovrebbe esserci anche la firma del governo italiano. Se non fosse così, allora vorrebbe dire che e Patrick verrebbe abbandonato al suo destino”.
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