La variante del Covid Omicron si allarga sempre di più in Europa. Secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, la mappa si colora sempre di più di rosso scuro. E allora i Paesi corrono ai ripari. Mentre si corre sui vaccini, sempre più nazioni pensano all’obbligo vaccinale. Che cosa sta imparando l’Ue da questa pandemia. In ESCLUSIVA al quotidiano online Free.it, Pier Virgilio D’Astoli, Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo (CIME).
La Germania ha introdotto il lockdown per i non vaccinati e intanto pensa all’obbligo vaccinale. Anche l’Italia ha iniziato a discuterne e così anche altri Paesi. La quarta ondata, con la variante Omicron che mette paura, sta forse insegnando all’Ue che è necessario agire in maniera coordinata. E si fa largo l’ipotesi di modificare il Trattato di Lisbona in tema di salute globale. In ESCLUSIVA al quotidiano online, Free.it, Pier Virgilio D’Astoli, Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo (CIME). Ex presidente di Altiero Spinelli e consigliere della Commissione Europea.
Dal suo punto di vista, questa pandemia, in particolare, abbia insegnato ai Paesi europei ad agire in maniera coordinata?
“Certamente sì. Il problema è che in base al trattato, l’Unione europea e quindi la Commissione europea non ha il potere di imporre per esempio l’obbligo vaccinale. Può solo fare delle raccomandazioni. Sono gli Stati che poi, eventualmente, posso recepirle oppure no. Quindi, effettivamente, è da due anni ormai che si pone il problema di affidare all’Unione europea delle competenze che oggi non le spettano”.
In quale momento, dall’inizio della pandemia, è stato evidente?
“Beh, da quasi subito. Il problema ha riguardato la questione dei vaccini, delle mascherine, dei rapporti con i Paesi terzi. Cioè, l’esperienza di due anni di pandemia ha mostrato che non basta più che in materia di politica della salute, l’Ue abbia una funzione di supporto. Il tema deve diventare una competenza condivisa. Questa è una delle dimostrazioni che il trattato di Lisbona, firmato 14 anni fa, non è più adeguato alle sfide attuali. E’ una delle ragioni per cui noi europeisti riteniamo che questo trattato sia superato nei tempi e debba essere cambiato”.
Cioè già un proposta di revisione del Trattato di Lisbona?
“Intanto, il nuovo governo tedesco ha scritto nel programma di governo che è necessario introdurre modifiche ai trattati. Tra l’altro ha detto anche che queste modifiche devono essere fatta pensando alla creazione di una vera federazione europea. Attraverso la convenzione costituente. Quindi, c’è sul tavolo una proposta di un governo importante come quello tedesco. E poi c’è anche la proposta del governo italiano che ha presentato un documento sul futuro dell’Europa”.
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E’ ottimista sulla possibilità di una maggiore cooperazione per l’Ue?
“Spero che altri governi si adeguino e si allineino su questa strada. Certo, sarà difficile immaginare che ci possa essere un accordo a 27. Bisognerà anche riaprire il discorso di fare l’Europa tra quelli che davvero vorranno. Immaginare la possibilità che il salto verso più Europa il che non vuol dire coartare gli stati nazionali ma condividere delle sovranità, farla con quelli che ci stanno, lasciando eventualmente per la strada quelli che non saranno disponibili ad accettare questo salto”.
E’ in questa inaspettata e violenta quarta ondata che i Governi hanno capito che è meglio agire insieme?
“Sicuramente questa recrudescenza dell’epidemia ha fatto comprendere agli Stati che da soli non si può risolvere un problema globale. E poi ha evidenziato le difficoltà di Stati che invece, magari, pensavano di far bene. Di essere indipendente. L’Italia, per esempio, per i vaccini dipende da altri Paesi, cioè abbiamo una incapacità di produzione e di ricerca autonoma che ci rende dipendente addirittura da Paesi fuori dall’Ue. Quindi si è dimostrato che ci vuole più cooperazione e che ci vuole più Europa. L’Ue deve investire di più nella ricerca, nella salute, nella lotta alle pandemia”.
Pensa sia una lezione per il futuro?
“Temo di sì. Questa non sarà l’ultima pandemia, ce ne saranno sfortunatamente anche altre. E tutto quello che è accaduto in due anni ci deve insegnare a gestire le cose in maniera più efficiente e connessa. Serve una strategia migliore rispetto a quella che abbiamo utilizzato finora”.
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