Si chiamava Mario ed è il primo paziente in Italia ad aver ottenuto il primo il via libera al suicidio medicalmente assistito in Italia. Lo ha annunciato questa mattina l’associazione Luca Coscioni, che da anni si batte per legalizzare le disposizioni sul fine vita. In ESCLUSIVA al quotidiano online Free.it, così Mina Welby, co-presidente dell’associazione Coscioni.
A lasciare libero Mario, un camionista di Pesaro tetraplegico da dieci anni, è stata l’Asl delle Marche. Per la prima volta in Italia, un paziente ha potuto ottenere una morte dolce, alle proprie condizioni. Il sì definitivo è arrivato dopo una battaglia lunga più di un anno. Durante i 14 mesi di discussione ci sono state anche due diffide legali e molte discussioni, ma alla fine il comitato etico dell’Asl marchigiana ha dato il consenso. In ESCLUSIVA al quotidiano online Free.it il commento di Mina Welby, moglie di Giorgio e co-presidente dell’associazione Coscioni.
Cosa ne pensa di questa notizia?
“Sono veramente molto contenta per Mario, assolutamente, e per la sua famiglia. Certo, è doloroso, lo so per esperienza. Quando c’è la persona che ti dice “non posso più vivere non ce la faccio più”, si cerca veramente di fare di tutto per mantenerlo ancora in vita, per tenerlo ancora vicino. Ma a un certo bisogna capire. E la famiglia di Mario ha capito. Solo che poi lo devono capire anche la Asl, il medico, devono capire tutte le istituzioni che devono essere messe insieme e devono aiutare la persona a uscire di questo da questo dolore. Quindi, credo che quello che è successo a Pesaro sia un buon inizio”.
Prossimo passo, secondo lei?
“Bisogna far capire anche al Parlamento che non si può più continuare a rimandare, rimandare, rimandare una legge. Serve una legge sul suicidio assistito, sull’eutanasia. Ecco, io vorrei veramente parlare tanto dell’eutanasia, cioè della morte volontaria assistita. Io spero che il Parlamento finalmente adesso capisca e si decida a legiferare senza ideologismi, senza stigmi. La morte è parte della vita”.
In Italia siamo ancora lontani da una legge sul fine vita secondo lei?
“Stiamo facendo passi avanti ma c’è un’altra autorità a mettersi di traverso: la Chiesa Voglio dire che la Chiesa non deve inveire su questi temi. Qui nessuno vuole ammazzare qualcuno. Voglio proprio usare questa brutta parola. Perché non si vuole uccidere nessuno, ma è la persona che sceglie di non soffrire più, e ha il diritto a non soffrire più. Ormai c’è una forte pressione da parte dei cittadini che vogliono essere liberi fino alla fine, liberi di scegliere. Sapete, ci sono dei trattamenti sanitari che sono veramente esorbitanti e ti tengono ancora in vita anche quando non hai più vita, come Eluana Englaro. Tante volte ci sono delle terapie ancora in atto che mantengono soltanto persone in forti dolori. Ci sono persone, per esempio, che usano gli oppioidi per i dolori, ne diventano dipendenti anche se non fanno nemmeno più effetto. E continuano soltanto a stare male”.
Cosa è necessario fare?
“Serve maggiore formazione da parte dei medici, da parte di tutti i curanti che sono intorno alla persona che ha deciso di morire. Serve una migliore assistenza psichiatrica e psicologica. Dobbiamo essere più formati e il servizio pubblico dovrebbe parlare anche di queste tematiche. Non solo di cucina, di politica, delle bellezze della natura. Non è un tabù. Siamo noi”.
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