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Cronaca

Ndrangheta, per i magistrati diventa “2.0”. Ecco perché

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Paolo Verri

L’organizzazione criminale sta diventando sempre più internazionale e orientata verso la finanza. E anche il “pizzo” si evolve. Ecco tutte le nuove tecniche emerse dall’inchiesta della Dda di Milano che – in parallelo con la Dda di Reggio Calabria e di Firenze – ha portato a 104 tra arresti e fermi.

Ndrangheta, per i magistrati diventa “2.0”. Ecco perché

Un salto di qualità che avvicina la ‘ndrangheta agli imprenditori lombardi. Imprenditori che da vittime del “pizzo” si trasformano in complici dei boss dei clan Molé e Piromalli. E in qualche caso addirittura in ‘maestri’ nelle tecniche di evasioni ed elusioni fiscale. 

È questo il volto della “Ndrangheta 2.0”, finita al centro di una maxi operazione della Dda di Milano e della Dda di Reggio Calabria. In tutto sono 54 i provvedimenti di fermo eseguiti per ordine dei pm milanesi. Provvedimenti a cui si aggiungono i 36 arresti eseguiti nell’ambito dell’inchiesta di Reggio Calabria e i 14 decisi nell’ambito del filone di Firenze. In tutto, 104 tra arresti e fermi.

A colpire gli investigatori non sono il “volume d’affari” gestito dalla ndrangheta al Nord o la sua capillarità nei territori di Como e Varese.  Sono i metodi utilizzati dalle cosche. Dopo le estorsioni e il racket degli anni Novanta, già dai primi anni Duemila i boss hanno trovato un modus sui vendi con gli imprenditori lombardi. E hanno imparato da loro.

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Le tecniche della Ndrangheta 2.0

La Ndrangheta ha imparato le tecniche di evasione ed elusione fiscale dagli imprenditori lombardi, che da vittime del pizzo sono diventati complici.

Nel marzo del 2010 è un incontro a Gioia Tauro tra l’ex sindaco di Lomazzo Marino Carugati, insieme ad un ex assessore, e i boss a far scoppiare la pace. Gli ndranghetisti si impegnano a ridurre le loro pretese e gli imprenditori locali trasferiscono alle famiglie della piana di Gioia Tauro il loro “know how”. E fanno entrare coopertive calabresi nei loro consorzi.

Ed è proprio grazie alla nascita di una serie di cooperative di servizi – che immancabilmente falliscono – che cambia il metodo con cui le cosche guadagno al Nord. Il “rischio” del pizzo viene in pratica trasferito dagli imprenditori allo Stato. Il meccanismo è ben rodato, fanno sapere gli investigatori della Polizia e della Guardia di Finanza, e utilizzato da anni nel tessuto economico lombardo. Gli ndranghetisti obbligano gli imprenditori a stipulare accordi per la fornitura di pulizie, facchinaggio, logistica o altri servizi con cooperative vicine alle cosche. Società che poi falliscono, creando un ‘buco’ nei confronti del Fisco, a cui non pagano Iva, contributi e altre imposte.

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Il salto di qualità della Ndrangheta

Si tratta di un “salto di qualità” che porta l’organizzazione criminale a diventare sempre più “imprenditoriale e sofisticata”, fanno notare gli investigatori. La ndrangheta è diventata una vera e propria “società d’affari” che in pochi anni ha “costituito 5 consorzi e 28 cooperative  nelle province di Como e Varese per consumare “le condotte di frode e bancarotta”.

Tra le attività controllate dalle cosche, ci sono anche diversi bar e il prestigioso ristorante Unico,  all’ultimo piano della torre WJT di Milano, ceh durante Expo 2015 aveva anche una succursale a Rho Fiera. Inutile dire che anche queste attività sono fallite. Sempre a disposizione delle cosche era  anche la società Sea Trasporti di di Mozzate (Varese), ora in amministrazione giudiziaria. La Sea controllava a sua volta la Spumador Spa di Caslino al Piano (Como), specializzata nella distribuzione delle bibite.

La Svizzera è il paradiso, non c’è il reato di associazione mafiosa

Non c’è solo la Lombardia o il Nord Italia nel mirino del clan. Le cosche, infatti, hanno sconfinato in Svizzera, considerata un “paradiso”. Nel cantone di San Gallo, in particolare, gli uomini della locale di Fino Mornasco “si sono stabilmente insediati dedicandosi ai traffici di sostanza stupefacente proveniente dall’Italia”. E lo fanno “nella convinzione apertamente dichiarata di poter operare con maggiore libertà” in territorio elvetico.  A provarlo sono le parole di un o degli indagati, che non sapendo di essere intercettato, al telefono dice:  “Stanno bene in Svizzera (…)  in Svizzera non esiste il 416 bis..” (il reato di associazione mafiosa, ndr). E sempre nelle intercettazioni si parla di una “locale europea”  che coordinerebbe boss e traffici in diversi Paesi del Vecchio Continente. 

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