Al via la Cop26 di Glasgow. Si apre ufficialmente questa mattina la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite. In cui i rappresentanti di 200 paesi del mondo si riuniscono per discutere misure contro il riscaldamento globale.
“Se fallisce, fallisce tutto”. Pesano come macigni le parole del Primo Ministro Britannico Boris Johnson. A sottolineare, ancora una volta, l’importanza cruciale della Cop26 sulla questione climatica. Questa mattina si apre ufficialmente la ventiseiesima edizione della Conferenza delle Parti, organizzata dall’Onu, dedicata all’ambiente. Da oggi, fino a venerdì 12 novembre, i rappresentanti di quasi 200 paesi si riuniranno attorno a un tavolo per studiare misure di contrasto al riscaldamento globale. Il summit è considerato decisivo per l’attuazione di nuove strategie per ridurre l’emissione di anidride carbonica, il principale gas serra. Soprattutto per quanto riguarda i paesi più inquinanti: Stati Uniti, Cina, India, Unione Europea e Russia.
L’Organizzazione Metereologica Mondiale ha pubblicato domenica il suo State of Climate. Una sorta di report che descrive lo stato di salute ambientale del pianeta. E i dati non sembrano incoraggianti. Gli ultimi sette anni sono stati i più caldi mai registrati, e il livello del mare ha raggiunto un nuovo massimo. “Le concentrazioni record di gas serra nell’atmosfera e il calore accumulato associato hanno spinto il pianeta in un territorio inesplorato, con ripercussioni di vasta portata per le generazioni attuali e future. Gli ecosistemi si stanno degradando a un ritmo senza precedenti, che si prevede accelererà nei prossimi decenni”, si legge nella relazione.
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Saremo in grado di rispettare gli obiettivi per contenere il riscaldamento globale? Quelli individuati dal Trattato di Parigi del 105, per intenderci. Raggiungere un sistema a zero emissioni nette entro il 2050 e limitare entro la fine del secolo l’innalzamento della temperatura media al di sotto dei 2° C rispetto al livello preindustriale. Per raggiungere questo traguardo ciascuno Stato dovrà ridurre la deforestazione, accelerare la transizione verso veicoli elettrici e puntare sugli investimenti sulle energie rinnovabili. A tal fine i paesi più sviluppati dovranno mantenere la promessa di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima.
Ma l’obiettivo principale rimane, comunque, l’uscita graduale dai combustibili fossili. Ovvero la rinuncia al carbone, la fonte di energia più inquinante. Sotto questo punto di vista la Cina sarà uno degli interlocutori più complicati dato che il carbone alimenta ancora i due terzi della sua economia.
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