Festa del Cinema di Roma, occhi puntati sulla disabilità. L’evento, giunto alla sua 16esima edizione, presta attenzione anche a coloro che vivono una condizione diversa permettendogli di godere appieno la manifestazione, ma soprattutto di lavorare al massimo delle possibilità.
Vittorio Gassman era solito dire: “I cinema sono come le chiese, è per questo che la gente va lì, per confessarsi”. Il senso era – e resta – quello che al cinema facciamo un patto implicito fra noi e il film per cercare di individuare, magari, delle similitudini con la nostra vita prima che arrivi il momento dei titoli di coda: non sempre è “Notting Hill”, qualche volta è “Fantozzi”, altre addirittura “Scream”. La nostra vita ha così tante sfumature che, talvolta, per riassumerla non basterebbe un piano sequenza strutturato su due o più sceneggiature. La settima arte è terapia, confronto e dibattito.
Soprattutto, però, è inclusione: questo ce lo ha insegnato – a modo proprio – la Festa del Cinema di Roma. Non solo con le proposte di film fatte nell’arco di 16 anni, non c’entrano neppure (soltanto) gli ospiti chiamati finora. Tutti di prim’ordine. Il concetto di coinvolgimento prende vita nel momento in cui si decide di aprire un festival a chiunque: dovrebbe esser prassi, ma non sempre è così. La Capitale d’Italia, stavolta, offre un tratto distintivo: quello di garantire sempre e comunque l’accessibilità alle persone con disabilità.
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Sembra scontato, ma non lo è: la Festa del Cinema di Roma, contesto a sé stante dove per dieci giorni c’è il mondo della celluloide e non solo a popolare lo spazio di un Auditorium, dimostra che si possono fare le cose con cura e attenzione stando sempre dalla parte degli addetti ai lavori. Un plauso va fatto ai cronisti e ai fotoreporter che documentano l’evento, come ogni anno, ma quando sei cronista con disabilità la situazione cambia. Lì, oltre a fare i conti con la passione (quella c’è, ma non è una questione di patologia) e la professionalità, devi scontrarti con ostacoli relativi alla contingenza delle architetture e della composizione stilistica che, spesso, possono fare la differenza.
Giornalismo e disabilità, quando coincidono, possono essere davvero un’accoppiata vincente – perché se essere cronisti vuol dire fornire una prospettiva dei fatti, la persona con disabilità garantisce una visione più ampia, offre un punto di vista (inteso come assimilazione) poco dibattuto ma ugualmente necessario – e al tempo stesso diventare una croce. La volontà c’è, ma il più delle volte non è seguita da fatti concreti. La Giurisprudenza insegna che le sale stampa dovrebbero essere accessibili, senza barriere, gradini o pendenze, sempre. Sulla carta è sancito, nella realtà è ignorato.
La Festa del Cinema di Roma, invece, ha fatto un lavoro di analisi e approfondimento mirato che ha portato ogni cronista a poter svolgere il proprio impiego con piene capacità, professionalità e contezza. Si respira una piena consapevolezza della diversità e, forse, questo è il premio più ambito: riuscire a emanciparla senza farne un vanto, ma facendola diventare prassi. I bagni attrezzati, la sala stampa senza ostacoli, il red carpet a misura di carrozzina, tutti accorgimenti che dovrebbero esserci ma spesso mancano. All’Auditorium, la Festa ha messo il proprio abito migliore anche perché è riuscita – e riesce – a valorizzare il lavoro di tutti. Anche di coloro che, purtroppo e per fortuna, sono costretti ad andare “a ruota libera”.
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